La rilevanza urbanistica della nozione di centro abitato
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La rilevanza urbanistica della nozione di centro abitato
La nozione di centro abitato trova riscontro nell’art. 3 del nuovo codice della strada, che lo identifica in un “insieme di edifici, delimitato lungo le vie di accesso dagli appositi segnali di inizio e fine”. Esso va individuato nella situazione di fatto costituita dalla presenza di un aggregato di case continue e vicine, comunque suscettibile di espansione, ancorché intervallato da strade, piazze, giardini o simili. La sua rilevanza urbanistica discende, peraltro, dall’art.31 della legge n.1150 del 1942, successivamente abrogato dall’art.136 del DPR 380/2001. Nello stesso DPR 380, l’art.9 comma 1 lettera B che sostituisce l’art. 41-quinquies della legge n. 1150 del 1942, lo utilizza quale concetto per disciplinare l’edificazione nei comuni privi di piano regolatore o di programma di fabbricazione. Un’ulteriore specifica sulla nozione viene riportata nella circolare 6709/97 del 29/12/1997 del Ministero dei Lavori Pubblici.
Con la sentenza n. 2798 del 22 marzo 2024 il Consiglio di Stato, ha richiamato la rilevanza urbanistica della nozione di centro abitato, con specifico riferimento alla possibilità di edificare nei comuni privi di piano regolatore nel rispetto delle distanze dell’edificio dalla sede stradale. Nel dettaglio, la sentenza di cui sopra riguarda un caso specifico in cui il proprietario di un immobile adibito ad esercizio pubblico di somministrazione di alimenti e bevande ha impugnato l’ordinanza del Comune che contestava la realizzazione di un portone in legno e di un cancello a chiusura di un corridoio coperto affacciato sulla strada, che apportava un ampliamento volumetrico dell’esercizio commerciale, imponendo la demolizione con relativo pagamento di una sanzione pecuniaria. A seguito di rigetto del ricorso da parte del TAR della Puglia, il proprietario è ricorso in appello ritenendo, tra l’altro, che il corridoio di cui sopra era preesistente e realizzato in un periodo (ante 1967) in cui non era necessario alcun titolo edilizio. Il Consiglio di Stato ha ritenuto fondato l’appello considerando dirimente individuare la data di realizzazione dell’immobile nella sua consistenza finale comprensiva del corridoio realizzato. Nella sentenza, tra l’altro, si afferma che l’obbligo di comprovare la preesistenza di un immobile all’epoca di edificazione libera grava sulla proprietà. Solo il privato può fornire atti e documenti probatori che dimostrino l’epoca di realizzazione del manufatto. Nell’articolo 9-bis del Tue, introdotto dal decreto-legge n.76 del 2020, convertito in legge n.120 del 2020, il comma 2-bis ha la finalità di agevolare la prova dello stato legittimo dell’immobile, laddove si tratti di manufatti che esistono da diversi anni. Quindi, la dichiarazione del Comune sull’abusività dell’opera inserita nel borgo antico e dovuta alla mancata produzione di licenza edilizia, che in ogni caso non sarebbe stata richiesta per effettuare il lavoro in questione, non viene considerata plausibile in assenza del titolo originario in forza del quale è stato edificato il fabbricato con conseguente prova dell’apertura del corridoio verso la strada.